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Il microcredito che Amazzonia Sviluppo ha avviato presso alcune comunità indigene del basso Rio Negro fa parte del progetto permanente “Il Rio della Speranza”, ed è la prima ed ancora unica operazione di microcredito che sia mai stata realizzata in tutta la regione amazzonica brasiliana.
Poiché è una regione pressoché sconosciuta alla nostra cultura, premettiamo alcune note geografiche e morfologiche
Il rio Cujeras è un affluente di sinistra del basso Rio Negro, appena una settantina di km prima che esso raggiunga Manaus, dove si incontra con il rio Solimoes per formare il rio Amazonas. Il rio Negro nasce un migliaio di km più a nord, oltre il confine con il Venezuela, mentre il rio Solimoes, il fiume principale della regione, proviene dalla catena andina a ovest e attraversa tutta la Amazzonia occidentale verso est, incontrandosi dopo più di 2.500 km con il rio Negro: è dalla unione dei due fiumi che nasce il rio Amazonas, che da Manaus arriva all’atlantico dopo un percorso di altri 1700 km. Non ci sono strade che collegano la regione con il resto del Brasile a sud, a est e a ovest. L’unica strada che esce dal territorio statale di Amazonas è la BR 174, in direzione nord, che arriva fino a Caracas: una strada strategica la cui gestione e manutenzione è affidata all’esercito. I trasporti avvengono perciò solo su barca, sulla ricca rete fluviale della regione, oppure su aeromobili, per i pochi che possono permetterselo.
Nel tratto in cui riceve il rio Cujeras, il rio Negro è largo più di 30 km ed ospita l’arcipelago delle isole Anavilhanas, esteso per centocinquanta di km di lunghezza: le isole, lunghissime e parallele al corso d’acqua, costituiscono un ostacolo insormontabile all’attraversamento diretto del fiume, e così le due sponde, che in quel tratto distano 30 km, sono isolate l’una dall’altra e fanno vita indipendente, con storie diverse. Infatti il canale che scorre tra la sponda sinistra e la prima isola dell’arcipelago è ricco di igapo’, tratti di foresta immersa nell’acqua, ed ha una morfologia che lo rende difficilmente navigabile, e inoltre sulla sponda sinistra non ci sono cittadine: su quel lato del fiume pertanto non si è mai sviluppato la navigazione e le comunità sono rimaste molto più isolate che non quelle che si trovano sulla sponda opposta, dove invece sono cresciute cittadine con qualche migliaio di abitanti e dove più facilmente i coloni nei secoli passati si sono insediati e mescolati con i nativi dando vita ad una etnia mista, che chiamano “caboclos”. Sulla riva sinistra invece, e in particolare dentro gli affluenti, la scarsa navigazione o in talune aree la sua totale assenza, ha permesso ad alcune comunità indigene di mantenersi sino ad oggi, con le loro tradizioni.
E’ il caso del rio Cujeras, che ospita sette piccole comunità indigene, ormai le ultime rimaste in tutto il basso rio Negro, composte da indios di varie etnie, principalmente quella Barè proveniente dall’alto Rio Negro (Perù), e quella Cambeba proveniente dall’alto Rio Solimoes (Perù), regioni distanti diverse migliaia di km tra di loro. Le popolazioni vivono sulle rive del fiume, in piccole comunità di poche famiglie ciascuna, e traggono sussistenza quasi esclusivamente dalla pesca e dalla caccia, cioè da attività predatorie. Sono nuclei sempre più esigui, sperduti in un territorio sconfinato: la densità media è bassissima, meno di un abitante per kmq.
E’ un contesto comune a tutta la regione amazzonica, che limita fortemente la presenza dello Stato e determina perciò, salvo rarissime eccezioni, la mancanza di tutti i servizi sociali, anche quelli essenziali come le scuole e i presidi sanitari, e delle infrastrutture, dell’energia elettrica, delle telecomunicazioni, e dunque anche di opportunità di reddito e prospettive di sviluppo nel breve e medio termine. Mancanze che, insieme alla vita disagevole che conducono in foresta, spingono le nuove generazioni ad emigrare verso la città: si tratta di una migrazione globale, che da un lato minaccia ormai l’estinzione della coltura indigena, e dall’altro alimenta la tragedia delle favelas urbane. E’ in questo contesto che abbiamo implementato il servizio di microcredito, all’interno del progetto pluriennale “Il Rio della speranza”, con l’obiettivo di costruire con loro una alternativa alla migrazione, per restare nei villaggi di origine con condizioni di vita più agevoli e prospettive di crescita.
Poiché sia noi che Odespi, l’associazione degli indios del basso Rio Negro con cui operiamo nella regione, non avevamo all’epoca alcuna esperienza nel campo del microcredito, era necessario trovare un partner che avesse quella esperienza e quelle conoscenze che a noi mancavano. Avevamo già verificato che in tutta la regione nord del Brasile, cioè in tutta la immensa regione amazzonica brasiliana non esisteva alcuna esperienza di Microcredito in atto, perciò cercammo innanzitutto un partner esterno specializzato nel microcredito che avesse interesse ad aprire una presenza operativa nella Amazzonia brasiliana. Ci rivolgemmo sia alle banche di credito cooperativo dell’Emilia Romagna che alla FEPP, un ente no profit che gestisce in Equador una vasta rete di banche di microcredito, ma nessuna dei due soggetti era in grado di metterci a disposizione personale dedicato al coordinamento dell’operazione.
Cercammo allora un partner istituzionale brasiliano strutturato nel campo del credito tradizionale che fosse interessato a fare una esperienza pilota nel campo del Microcredito, collaborando con noi nella gestione del progetto, e in questo caso trovammo un forte interesse da parte di AFEAM, istituto finanziario statale per lo sviluppo della Amazzonia, che pur avendo il microcredito nella propria mission, non aveva mai preso la decisione di implementarlo a causa di ostacoli sul piano formale e su quello logistico: sul piano formale perché nell’interno, cioè nelle aree extraurbane, le popolazioni generalmente non sono censite, cioè non sono registrate presso l’anagrafe, e non possiedono documenti di identità, il che ostacola ovviamente la procedura per la concessione di credito secondo i canali usuali; su quello logistico perché nessun funzionario di Afeam, così come di qualsiasi altro ente pubblico, è disposto a svolgere missioni di lunga durata fuori dalle città, né esiste dirigente che abbia il potere di comandare questo tipo di missioni ai propri collaboratori.
La dirigenza dell’istituto vedeva nella partecipazione al nostro progetto una opportunità per colmare finalmente una lacuna, e perciò concludemmo un accordo in base al quale Afeam avrebbe raddoppiato il capitale investito da noi nel fondo di rotazione, e avrebbe messo a disposizione la sua struttura (in città) per l’organizzazione e la gestione amministrativa e finanziaria dell’operazione, mentre noi e Odespi avremmo garantito la fase operativa con la nostra presenza nelle comunità, curato la sensibilizzazione degli utilizzatori, mantenendo i rapporti con loro, gestito eventuali problematiche e assicurato la restituzione dei prestiti. In questo modo noi, Odespi e Afeam saremmo stati perfettamente complementari, e la nostra presenza e capacità operativa nei villaggi indigeni avrebbe sopperito all’impossibilità di Afeam di dislocare proprio personale, ma la parte organizzativa e amministrativa del progetto sarebbe stata comunque svolta dal personale di Afeam in città, colmando la nostra inesperienza.
La soluzione sembrava così individuata e l’accordo fu firmato nel 2008, ma in realtà non fu possibile renderlo operativo, perché quando già stavamo definendo con i tecnici di Afeam l’organizzazione del servizio nei suoi dettagli, l’ufficio legale dell’istituto segnalò che il loro statuto non permetteva di formalizzare partnership con soggetti stranieri per gestire operazioni di credito sul suolo brasiliano. E d’altra parte modificare lo statuto avrebbe richiesto un iter politico dai tempi lunghissimi e imprevedibili. Con tale rinuncia forzata venne a mancare un partner strategico del progetto, soprattutto sul piano strutturale e amministrativo.
Si è imposto a quel punto un cambio di strategia: abbandonata la speranza di trovare un partner operativo e strutturato per il credito, abbiamo preso in considerazione la strada più lunga e difficile, quella di formare l’associazione degli indios –ODESPI- e renderla capace di gestire direttamente l’operazione. Era un’ipotesi che avevamo inizialmente scartato perché ci sembrava troppo incerta: non era facile innanzitutto trovare chi potesse fornire e trasmettere le conoscenze attraverso un percorso di formazione e accompagnamento che richiedeva una presenza sul posto sicuramente di non breve durata, e poi non avevamo alcuna certezza che persone totalmente impreparate nel campo amministrativo e finanziario potessero rapidamente acquisire le capacità di gestire un’operazione tutt’altro che semplice e senza precedenti cui ispirarsi. Ma non avevamo alternative se non volevamo rinunciare all’idea.
Ci rivolgemmo così al Sebrae, il miglior ente di formazione dedicato alle piccole imprese che opera in Brasile, un ente federale molto efficiente e ben strutturato, a capitale misto, pubblico e privato, presente in tutti gli Stati del Brasile e quindi anche a Manaus. Sapevamo che nemmeno il Sebrae di Manaus aveva esperienza nel microcredito, ma ci risultava che nel sud del Brasile alcune sedi del Sebrae avevano sviluppato operazioni in quel campo, e così, grazie alle nostre conoscenze di alcuni operatori della sede di Curitiba, nel Paranà, riuscimmo ad ottenere che le esperienze maturate nel sud fossero messe a disposizione della sede di Manaus, e che una formatrice del Sebrae di Manaus interessata ad acquisire questa esperienza professionale accettasse di dedicarsi al progetto per tutto il tempo necessario. Così riuscimmo finalmente a chiudere il cerchio.
L’imprevista defezione di Afeam e il conseguente cambio di strategia avevano fatto perdere un anno alla implementazione del progetto, ma il risultato finale è sorprendentemente positivo, al di sopra di ogni nostra aspettativa.
Abbiamo dunque iniziato l’operazione in tre villaggi: Terra Preta, Tres Unidos, e Nova Esperança, il primo sulla sponda sinistra del Rio Negro, il secondo all’imboccatura del Rio Cujeras, suo affluente, e il terzo una decina di km all’interno del Rio Cujeras. Successivamente l’operazione è stata ampliata ad una quarta comunità.
La copertura finanziaria dell’operazione e per la costituzione del fondo di rotazione è stata in parte assicurata da Amazzonia Sviluppo, e per il restante co-finanziata dalla Regione Emilia Romagna e dalla Fondazione di Modena: il fondo di rotazione iniziale è stato costituito con 10.000 Euro, e successivamente è stato integrato con altri due apporti, di 4.000 e 2000 euro rispettivamente, e abbiamo in programma di incrementarlo ulteriormente, man mano che l’operazione si amplia ad altre comunità.
Ad oggi il fondo di rotazione è stato reimpiegato per vari cicli successivi di prestiti, poiché gli utilizzatori dei primi cicli hanno via via restituito le somme utilizzate, di modo che l’impiego totale ha già superato i 50.000 euro. Gli utenti dimostrano molta serietà e senso di responsabilità, frutto non solo del lungo lavoro di sensibilizzazione che abbiamo svolto noi inizialmente, ma anche del coinvolgimento e dell’impegno dei capi-villaggio nel monitorare strettamente l’operazione, coscienti che un corretto utilizzo del microcredito rappresenta una opportunità eccezionale e irripetibile per lo sviluppo delle comunità stesse. Complessivamente ormai tutti i membri delle comunità interessate hanno utilizzato il servizio.
Elenchiamo solo a titolo di esempio le prime attività nate grazie al microcredito nei primi tre villaggi interessati dal progetto, che sono “Terra Preta”, Tres Unidos” e “Nova Esperança. E’ opportuno ricordare a questo proposito che prima d’ora mai era esistita alcuna attività produttiva o commerciale in quei territori extraurbani.
Nel campo commerciale e dei servizi:
Nel campo dell’artigianato:
Nel campo dell’agricoltura:
acquisto di sementi, di attrezzi, e di tela di recinzione per allevare galline.
Altri beneficiari hanno usato il piccolo prestito per acquistare materiali di costruzione e migliorare la loro abitazione o per costruirne di nuove per i figli man mano che si sposano.
L’operazione è stata assolutamente positiva. A posteriori possiamo ben dire che anche l’imprevista e involontaria defezione di Afeam è stata provvidenziale e ha prodotto, insieme al ritardo iniziale e alla necessità di lavoro aggiuntivo, un risultato inimmaginabile all’epoca in cui il progetto è stato pensato, che va oltre ogni più ottimistica aspettativa.
Anche il lungo tempo intercorso nella fase iniziale, che all’epoca sembrava un fattore negativo, in realtà si è rivelato prezioso perché è stato messo a frutto per approfondire la sensibilizzazione delle comunità indigene e per coinvolgere responsabilmente i loro capi, cosa che a nostro parere è stato uno dei fattori chiave del successo dell’operazione. C’è stato cioè tutto il tempo per rendere i futuri utilizzatori consapevoli del beneficio che ne potevano trarre, ma anche della serietà e del senso di responsabilità che l’operazione richiedeva e con cui dovevano gestire i prestiti ottenuti, e dell’importanza della loro restituzione per consentire anche ad altri dopo di loro di utilizzarli. Ma soprattutto c’è stato il tempo perché l’operazione fosse intesa come un servizio per le comunità intere, e vedesse perciò il coinvolgimento responsabile dei loro capi a garanzia del buon utilizzo da parte di ognuno, per il bene di tutta la comunità.
Un secondo importante risultato raggiunto è il rafforzamento e la crescita della controparte, l’associazione locale degli indios. Odespi è un soggetto poverissimo di risorse finanziarie, e anche le sue risorse umane, pur ricche di una cultura e delle abilità adatte alla vita in foresta, sono tuttavia povere in altri campi, mancando ovviamente di quelle conoscenze, competenze, esperienze e professionalità a noi più familiari legate alla cultura cittadina, come la conoscenza e l’applicazione di tecnologie, le manutenzioni per la conservazione della funzionalità di beni e strumenti, la capacità organizzativa, l’abitudine alla programmazione, il rispetto di procedure codificate, la continuità di applicazione, la capacità di previsione, una visione di lungo periodo, l’utilizzo di strumenti di analisi e valutazione, di strumenti contabili, di strumenti di comunicazione, e in molti casi anche la elementare conoscenza della scrittura. In particolare manca a loro l’esperienza della dimensione economica e professionale della vita con cui sono ormai costretti a fare i conti, sia se decidono di migrare in cerca di condizioni di vita più agevole, sia se decidono di migliorare le loro condizioni di vita in foresta. Sono carenze che hanno ovviamente costituito un forte ostacolo alla implementazione del servizio di Microcredito, insieme ad altri limiti sul piano formale, dato che la vita sociale nei villaggi è completamente informale: la trasmissione delle decisioni comunitarie è ancora solo orale e non si producono atti formali, gli abitanti, che si conoscono perfettamente tra di loro, non sono censiti e non hanno documenti di identità. Per dare un’idea delle difficoltà incontrate basti pensare, ad esempio, che la necessità per Odespi di aprire un conto corrente bancario dedicato alla gestione del Microcredito ha richiesto 6 mesi di tempo per produrre i normali atti autenticati pretesi dalla banca, dai libri sociali di Odespi alle delibere, fino ai documenti di identità dei soci: dunque per un’operazione banale come aprire un conto bancario si è dovuto partire dal censimento degli abitanti dei villaggi e dal rilascio dei documenti di identità dei soci di Odespi da parte delle autorità preposte, nella capitale.
Per questo il rafforzamento di Odespi e l’apprendimento della capacità di gestire in prima persona una operazione di credito tra gli indios è stata la sfida maggiore, e dall’esito tutt’altro che scontato, che il progetto ha dovuto affrontare. E l’esserci riusciti con successo crediamo sia il miglior risultato del progetto. Grazie alla involontaria mancata partecipazione di Afam ed alla collaborazione di Sebrae, oggi Odespi possiede un patrimonio di competenze strategico per lo sviluppo della regione, che nessun altro soggetto locale possiede. Ne sono una testimonianza le richieste che giungono a Odespi dalle altre comunità indigene della zona, a cui intendiamo estendere il servizio non appena ne avremo le risorse.
E non solo della zona: la richiesta pervenuta da una comunità di campesinos della Colombia di inviare uno dei responsabili locali della gestione del progetto per implementare il servizio di microcredito anche presso di loro, in cambio dell’offerta di inviare presso le comunità del basso Rio Negro un loro esperto di allevamento delle api, attività molto diffusa tra gli indios della Colombia, ma non in Amazzonia, per avviare una produzione strutturata di miele, ha generato quattro anni fa un ulteriore progetto di cooperazione sud-sud, con lo scambio vicendevole di conoscenze e buone pratiche tra soggetti locali con scarsissime risorse. Il progetto Amazzonia-Colombia, già concluso con successo, è stato cofinanziato dalla Fondazione di Modena, e crediamo soddisfi il massimo delle aspettative possibili per un progetto di cooperazione.
Infine, sul piano dell’obiettivo ultimo del progetto, quello del contrasto alla migrazione e all’inurbamento delle popolazioni indigene e del miglioramento delle condizioni di vita nei loro territori di origine, è evidente l’efficacia del progetto, documentata dalle oltre 20 microimprese famigliari nate dal microcredito, cioè di attività capaci di dare reddito, ma anche di generare risorse comuni che vengono utilizzate nei villaggi per creare servizi sociali e piccole infrastrutture che rendono più agevole la vita in foresta. Gli abitanti sono ora consapevoli del grave rischio dell’inurbamento, e la migrazione dei giovani da quei villaggi è quasi scomparsa…
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