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Il processo migratorio e il conseguente fenomeno dell’inurbamento, che fummo chiamati dai missionari a contrastare perché stavano rivelando il loro tragico epilogo per le popolazioni native della Amazzonia, aveva già raggiunto livelli insostenibili portando in pochi anni mezzo milione di persone ad accamparsi nelle periferie della capitale, Manaus. All’epoca la città, con una crescita esponenziale, in pochi anni aveva già raggiunto i due milioni di abitanti, un milione e mezzo censiti ed un altro mezzo milione che vivevano in favela, per lo più nemmeno registrati all’anagrafe, cittadini in nero.
L’origine di tale processo sta nella profonda disparità di offerta di beni e servizi tra lo sconfinato territorio di foresta, dove non vi è alcuna presenza dello Stato e mancano i servizi sociali primari, dalla sanità alla istruzione, nonché le infrastrutture di base, dalle strade ai mercati, alle reti di comunicazione e di distribuzione dell’energia elettrica, e dove perciò è preclusa ogni possibilità di sviluppo e di prospettive di rendere più agevoli le condizioni di vita, e dall’altra parte la capitale, una città moderna, dinamica e ricca, che offre tutti i beni e servizi che la nostra società ha saputo produrre e organizzare: questa enorme disparità fa si che essa eserciti sulle giovani generazioni una attrazione irresistibile, e non vi è giovane indio che non progetti di partire per la città, che nei loro racconti e nella loro immaginazione promette di offrire la realizzazione di ogni sogno possibile.
Invece nella realtà si rivela una trappola fatale per quella gente semplice e ingenua, impreparata culturalmente e professionalmente ad affrontare la competizione del nostro mondo, e sprovvista anche delle difese immunitarie necessarie a sopportarne la carica infettiva nelle degradate periferie dove finiscono per accamparsi. Una prima forte decimazione avviene nei primi mesi dal loro arrivo in città, dove statisticamente uno su quattro muore a causa delle malattie infettive acquisite dopo l’inurbamento. Poi per i superstiti resta il problema della ricerca di un reddito, prospettiva resa ardua dal fatto che sono analfabeti e non possiedono le conoscenze e competenze richieste dal sistema economico e sociale su cui è basata la città. La maggior parte di loro non riesce a trovare una occupazione dignitosa ed è costretta a vivere di espedienti, in condizioni di emarginazione, esclusi dal servizio sanitario e dalla istruzione, così come dagli altri servizi: distribuzione di energia elettrica, ritiro dei rifiuti, acquedotto e fognature, trasporti urbani, ecc.
Così per la gran parte di loro il sogno di una vita migliore ha un tragico epilogo: il viaggio finisce inesorabilmente nel degrado umano e sociale delle favelas, dove la disgregazione della famiglia produce il tragico fenomeno dei “meninos de rua”, i bambini di strada, con il loro inesorabile destino di emarginazione, sfruttamento, prostituzione e criminalità minorile; circolo da cui è difficilissimo uscire.
Riuscire a trattenere le popolazioni native nei territori di origine, con prospettive di sviluppo e di migliori condizioni di vita nelle loro comunità, significa di fatto salvarle dal tragico destino delle favelas, e per molti significa salvare la vita. Questo era già ben chiaro ai missionari con i quali abbiamo collaborato, ed ha ovviamente orientato la nostra risposta. Per questo Amazzonia Sviluppo ha scelto come mission il contrasto e la prevenzione alla migrazione e all’inurbamento.
Da una decina di anni Amazzonia Sviluppo sta operando anche in Italia, in un contesto molto diverso, certamente noto al lettore, e diverse dunque sono state le risposte che abbiamo messo in campo. Evidenziamo qui soltanto l’aspetto prioritario che ha sollecitato l’apertura di questo nuovo fronte operativo da parte della associazione: il manifestarsi anche sul nostro territorio, pur relativamente ricco, delle conseguenze della grande crisi finanziaria globale scoppiata nel 2008. Il rapido aumento del numero delle famiglie che perdevano il lavoro e il reddito, e alcune anche la casa, e solo in piccola parte superavano la vergogna di rivolgersi ai servizi sociali dei Comuni o alle Caritas o al mondo del volontariato per chiedere aiuto. Fu da questa constatazione che nacque la decisione di impegnarci anche sul nostro territorio per contribuire a dare una risposta a questa nuova emergenza con un progetto di welfare di comunità -l’Emporio sociale Portobello- studiato e realizzato insieme ad altre associazioni di volontariato in collaborazione con il Centro Servizi per il Volontariato.
Non è stata questa l’unica emergenza a sollecitare il nostro impegno sociale in Italia: altre emergenze purtroppo, come l’aumento degli anziani non autosufficienti, i minori non accompagnati richiedenti asilo, e i tanti giovani che abbandonano la scuola e non trovano occupazione, e infine il crollo della natalità, che prospetta una situazione futura di non sostenibilità del welfare attuale, compreso il sistema pensionistico, hanno suscitato altre risposte specifiche, che sono divenuti altrettanti progetti di Welfare di Comunità, realizzati sempre in collaborazione con il mondo del volontariato modenese e delle pubbliche amministrazioni locali secondo i principi della sussidiarietà.
Le risposte che abbiamo cercato di dare nel contesto delle varie emergenze hanno tutte un carattere comune, che è quello di coinvolgere in una partecipazione attiva tutti i soggetti interessati, le istituzioni, la società civile e i beneficiari.
Crediamo che questa modalità sia l’unica possibile per fronteggiare le tragiche conseguenze sul piano economico e sociale provocate dalla pandemia e dai tentativi di contenimento della emergenza sanitaria, conseguenze che non si sono ancora manifestate pienamente, ma sono attese nel prossimo futuro, con una carica devastante per l’occupazione e per il sistema di welfare del nostro Paese. Ciò richiederà un impegno di risposta che non ha precedenti dal dopoguerra ad oggi, e che necessariamente dovrà vedere la collaborazione di tutti i soggetti che compongono la nostra società. Ci auguriamo che tutti, anche le istituzioni, siano all’altezza di un compito così arduo.
I singoli progetti sono descritti nelle relative pagine, oltre che sui siti del Comune di Modena e del CSV
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