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Amazzonia Sviluppo è stata costituita formalmente nel 2006, in conformità alla normativa che regolava le Onlus, con l’obiettivo di creare un soggetto giuridico capace di realizzare progetti di Cooperazione internazionale allo sviluppo e allo stesso tempo abilitato a collaborare con gli enti privati e le istituzioni pubbliche che operano nel campo della Cooperazione Decentrata, anche partecipando ai bandi da questi emessi, opportunità che secondo la normativa vigente all’epoca non erano accessibili alle cooperative e perciò precludeva questa opportunità ad Amazzonia 90, costituita precedentemente e già operante da anni. La decisione di costituire formalmente l’associazione di volontariato ci era stata sollecitata anche dagli uffici della Regione Emilia Romagna che si occupano della Cooperazione Decentrata, proprio in virtù del metodo innovativo adottato dalla cooperativa e da loro ritenuto interessante.
Ma l’origine informale di Amazzonia Sviluppo risale a molti anni prima, ad una storia che inizia nel 1985 con una missione perlustrativa nella Amazzonia centrale di uno dei futuri fondatori della associazione, su incarico della Fondazione AVSI, per valutare la fattibilità di un potenziale progetto di cooperazione da realizzare su richiesta dei missionari italiani del PIME là presenti, e per raccogliere i dati e le info necessari per formulare il progetto da presentare al Ministero degli Affari Esteri.
Si trattava di realizzare una scuola agricola di secondo grado riservata gratuitamente a giovani indios di tutte le etnie native dello Stato di Amazonas: un progetto affascinante su cui valeva la pena di investire.
All’epoca non esisteva nessuna struttura educativa e formativa a disposizione delle popolazioni indigene e perciò la finalità della scuola, che fu chiamata “Rainha dos Apostolos”, era innanzitutto la formazione umana e tecnica dei giovani indios, ma strategico era anche il ruolo dell’opera nel contrastare la migrazione dei nativi verso la città, irresistibilmente attrattiva verso le giovani generazioni a causa della offerta pressoché illimitata di beni e servizi che la foresta ovviamente non poteva offrire, ma che in realtà, per la loro cultura,
la mancanza di preparazione professionale e di difese immunitarie adeguate, costituiva una trappola fatale per una gran parte di loro. Per i nativi le conseguenze dell’inurbamento erano tragiche, e la scuola era stata pensata dai missionari come mezzo per fornire alle nuove generazioni le conoscenze e gli strumenti per migliorare la vita nei loro villaggi di origine.
Il progetto fu elaborato da AVSI, presentato al MAE e approvato, e così nel 1987 iniziò l’avventura che portò in Amazzonia per più di 4 anni una famiglia modenese con tre figli per la sua realizzazione. La scuola fu realizzata in foresta, 40 km a nord di Manaus, su un terreno acquistato di 50 ettari, ed è gestita da un ente senza fine di lucro, il Centro di solidarietà Sao Josè, costituito come primo passo del progetto stesso.
Nel frattempo, l’incontro con le drammatiche condizioni di vita dei favelados nelle periferie di Manaus aveva sollecitato le prime risposte spontanee, coordinate con i missionari e nemmeno previste nel progetto di AVSI. Sono nate così le seguenti iniziative rivolte ai favelados e ai bambini di strada, che hanno arricchito il bagaglio di esperienza dei volontari e si sono rivelate preziose per gli sviluppi dei successivi progetti:
Il rientro in Italia della coppia di volontari modenese non poteva costituire ovviamente una interruzione dei rapporti di profonda amicizia nati con la equipe di giovani insegnanti e tecnici con cui si era realizzata l’opera, e così la collaborazione con la scuola agricola e con le comunità indigene è continuata fino ad ora, prima attraverso la cooperativa, Amazzonia 90, fondata nel 1991, e poi attraverso Amazzonia Sviluppo, della quale i due volontari modenesi sono stati fondatori, insieme ad amici, nel 2006.
Alla data della costituzione di Amazzonia Sviluppo, alcuni progetti erano già stati realizzati dalla cooperativa Amazzonia 90 ed altri erano in corso di implementazione presso alcuni villaggi indigeni in foresta. Il primo compito della associazione fu dunque quello di collaborare con la cooperativa nella implementazione dei progetti in corso, secondo una suddivisione dei compiti che affidava ad Amazzonia Sviluppo la responsabilità della componente più strettamente sociale dei progetti, lasciando alla cooperativa i compiti inerenti agli aspetti più imprenditoriali e finanziari. Ma altri progetti in Amazzonia sono nati dopo la sua costituzione, e nell’ultimo decennio, mentre la cooperativa andava esaurendo la sua missione, Amazzonia Sviluppo ha assunto il ruolo di protagonista, con la completa titolarità e responsabilità delle iniziative.
Tutte le azioni alle quali l’associazione ha collaborato o che sta attualmente implementando in Amazzonia fanno parte di un progetto integrato pluriennale che abbiamo denominato “Il Rio della speranza”, progetto che ha l’obiettivo finale di prevenire e contrastare la migrazione e l’inurbamento delle popolazioni native, attraverso la creazione di sviluppo sostenibile nei territori extraurbani.
Queste le azioni alle quali Amazzonia Sviluppo si è dedicata maggiormente nella regione amazzonica:
Le azioni sono descritte dettagliatamente alle rispettive pagine, che invitiamo a visitare.
Più recentemente segnaliamo un progetto innovativo realizzato dall’associazione contemporaneamente su due territori dell’America Latina -l’Amazzonia brasiliana e la Colombia- attraverso una cooperazione sud-sud, cioè uno scambio di competenze tra gli indios del Basso rio Negro e una comunità di Campesinhos situata sulle Ande colombiane, che ha permesso ai primi di trasferire alla comunità colombiana l’esperienza dell’organizzazione e gestione del servizio di microcredito, ed ai secondi di insegnare l’apicoltura e la produzione del miele alle comunità del basso rio Negro.
Negli ultimi anni, di fronte al verificarsi di tragedie umanitarie in territori dove non siamo presenti direttamente con ns volontari, come il Medio Oriente, abbiamo deciso di sostenere progetti importanti realizzati da altre associazioni che conosciamo e che sono presenti e operano in quei territori, come AVSI e Pro Terra Sancta. Cosi in Siria stiamo sostenendo il progetto Ospedali Aperti di Avsi a favore di ospedali non profit, e attraverso Pro Terra Sancta un progetto di microcredito per giovani artigiani, e infine il sostegno ad una parrocchia cattolica che distribuisce generi alimentari di base alle famiglie che non hanno sufficiente reddito per sfamarsi, da quando alla tragedia della guerra e delle sanzioni economiche imposte dall’Europa e dagli Usa si sono aggiunte ora anche le conseguenze del blocco delle poche attività produttive rimaste a causa della pandemia.
Nello stesso tempo Amazzonia Sviluppo, a partire dall’arrivo anche nel nostro Paese delle conseguenze della crisi finanziaria globale del 2008, ha aperto un nuovo fronte di impegno sul territorio modenese, iniziando ad occuparsi anche delle criticità che via via sono emerse e organizzando insieme ad altre associazioni e alle istituzioni locali alcune risposte a bisogni specifici. Così sono nati a Modena quattro interessanti progetti di welfare di comunità dei quali l’associazione è stata cofondatrice: li citiamo solo in questa sede, per rimandare la loro illustrazione alle pagine specifiche.
Emporio sociale Portobello, come risposta al bisogno alimentare di famiglie che hanno perso il lavoro e il reddito a causa della crisi
Ca’ nostra, co-housing per anziani non autosufficienti malati di Alzheimer, autogestito dai loro famigliari
WelcHome, per l’accoglienza diffusa in famiglia di minori non accompagnati richiedenti asilo
VeloModena, corso di formazione per giovani disoccupati e giovani disabili nel campo delle batterie elettriche e della meccanica per e-bike
Sono progetti che continuiamo a sostenere nell’ottica di una loro espansione o duplicazione nei territori limitrofi, tenuto conto dei positivi risultati in termini di costi benefici, documentati anche da studi effettuati e pubblicati dall’Università di Modena e Reggio E.
Portobello ad esempio è stato il primo emporio sociale realizzato a Modena e gestito interamente dal volontariato locale, e da questa positiva esperienza sono nati altri tre empori nella provincia di Modena, e numerosi altri sono sorti sul suo modello nella Regione e oltre.
E anche di Ca’ nostra la Asl di Modena sta chiedendoci di puntare alla replica della esperienza, che risulta essere una risposta adeguata e sostenibile alla crescente domanda di anziani non autosufficienti a fronte di una insufficiente risposta delle istituzioni, tenuto conto che l’autogestione del progetto pesa pochissimo sulla finanza pubblica e allo stesso tempo ottimizza i costi a carico delle famiglie.
Anche per quanto riguarda WelcHome, oltre alla migliore e più rapida integrazione linguistica, culturale e sociale dei minori, il costo della accoglienza in questo modo è notevolmente ridotto e trasferito alla famiglie, con un peso irrisorio sulla finanza pubblica.
Infine, presso due scuole di secondo grado stiamo avviando in questi giorni (marzo 2021) un progetto innovativo sulla Natalità, insieme alla Compagnia delle Opere e al Forum delle associazioni familiari: a tema l’emergenza denatalità nel nostro Paese, le cause del processo, gli ostacoli che si frappongono alla natalità, e le buone prassi che le PA e la società civile possono mettere in atto per favorire una inversione di tendenza. Un tema che interpella il futuro della nostra società.
Ovviamente progetti come questi sono realizzabili soltanto con una collaborazione in rete tra varie associazioni di volontariato e le istituzioni, in un’ottica di sussidiarietà, e dimostrano quanto importante e strategico sia il contributo del volontariato nella nostra società. Essenziale per questo processo virtuoso si è rivelata la funzione di coordinamento dei Centri territoriali di servizio per il volontariato.
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